Abbazia di San Pietro in Valle - Ferentillo

Due asceti, Lazzaro e Giovanni nell’anno 516 vennero in Italia dalla Siria e dopo lunga peregrinazione scelsero di ritirarsi in una grotta nelle montagne di Spoleto erigendo un eremo che gli abitanti del luogo identificano con la Romitoria sul Monte Solenne, sopra Macenano. Si deve a Faroaldo II, duca longobardo di Spoleto, l’edificazione sulla tomba dei Santi Lazzaro e Giovanni dell’abbazia dedicata a San Pietro in cui si ritirò nel 720 quando fu spodestato dal figlio Trasmondo II e dove morì da monaco nel 728. Anche al figlio toccò la stessa sorte quando fu destituito dal re longobardo Liutprando, seguito dal suo successore Ilderico che fu scacciato dopo solo un anno di regno (739-740). Nell’881 il monastero subì con Farfa il saccheggio dei Saraceni. Le loro sepolture, ritrovate nei lavori di restauro iniziati nel 996 da Ottone III di Sassonia, furono degnamente sistemate nella parte absidale della chiesa reimpiegando sarcofagi romani, testimonianza di un più antico insediamento nella zona. Nel 1234 Gregorio IX assegna l’abbazia ai Cistercensi in linea con quanto avviene del Lazio sotto Innocenzo III. Fu ridimensionata nel suo ruolo prima con il passaggio del Ducato di Spoleto alla Chiesa (1230) e poi con la sua cessione al Capitolo Lateranense (1303).

Nel 1484 papa Innocenzo VIII dona il feudo dell’abbazia ai Cybo. E’ da ricordare che Innocenzo III era egli stesso un Cybo (Giovan Battista Cybo – ossia Giobatta ricordato come il pontefice romano che iniziò la caccia spietata alle streghe), come detto, costituì per suo figlio Franceschetto Cybo un principato nominandolo, oltre a duca di Spoleto anche conte di Ferentillo e quindi governatore dell’abbazia. A Franceschetto, che sposò Maddalena de’ Medici, successe il figlio Lorenzo Cybo, il quale sposò Ricciarda Malaspina marchesa di Massa e Carrara. Dal matrimonio nasce Alberico I Cybo, il quale, dopo la morte della madre Ricciarda, assunse anche (sempre per volere della madre) il cognome di Malaspina. Alberico I Cybo Malaspina divenne così Marchese di Massa, Signore di Carrara, Conte di Ferentillo governatore di Monteleone di Spoleto e quindi signore anche della Abbazia di San Pietro in valle. Il feudo di dominio dei Cybo Malaspina durò fino al 1730 con Alderano Cybo. La vendita definitiva della struttura è avvenuta nel 1907. Dal 1917 il convento è passato in mani private e oggi, ristrutturato, è utilizzato come struttura alberghiera.

La chiesa, che è rimasta come corpo separato rispetto all’abbazia, è ad una sola navata che risale al VII secolo; l’abside è del XII secolo. Conserva pregevoli affreschi medievali e rinascimentali di scuola umbra raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.

La chiesa si presenta piuttosto spoglia in classico stile Romanico, appena si entra si notano due colonne alte circa un metro posizionate lungo un solco distinto che separa una porzione di ingresso dal corpo della chiesa e queste erano poste a delimitare l’accesso alle persone non battezzate che potevano accedere ma non avvicinarsi alle persone battezzate che si posizionavano nella parte centrale della chiesa.

Una ulteriore delimitazione era costituita da due lastre di pietra scolpite di circa 120 X 120 che erano posizionate tra il piano della chiesa e i gradini dell’altare per separare il popolo dal clero.

Quindi la chiesa risulta divisa in tre parti:

  1. Non Battezzati ( ingresso )
  2. Battezzati ( parte Centrale )
  3. Clero

Di epoca longobarda sono invece le due lastre scolpite a bassorilievo che fungevano da divisorio sono state riutilizzate per costruire l’altare principale. Su quella che è fronte dell’altare corre una scritta in lingua latina, con curiosi caratteri misti maiuscoli e minuscoli: “Ilderico Dagileopa, in onore a san Pietro e per amore di san Leone e san Gregorio, per la salvezza dell’anima (pro remedio animae)“. Ilderico fu duca di Spoleto tra il 739 e il 742. La lastra è inoltre adornata con due bizzarre figure, con le braccia piegate a 90° e levate verso l’alto, con il petto nudo e indosso un gonnellino corto. Le figure sono circondate da fusti vegetali stilizzati, che culminano in dischi con delle croci celtiche inscritte. Una delle due figure brandisce uno sorta di stiletto, da alcuni ritenuto uno scalpello. Ciò suggerirebbe che la figura rappresenta Orso, lo scultore indicato come autore dell’incisione dalla scritta “UR-SUS MAGESTER FECIT” (“Il maestro Orso l’ha fatto“) e l’altra figura si presume sia il committente ILDERICO DA GILEOPA…”. Questo di San Pietro in Valle è uno dei rarissimi casi, nell’arte medioevale, in cui si può facilmente distinguere il committente dall’artefice, grazie al fatto che sono entrambi menzionati. Quella sul retro presumibilmente rappresenta in basso tre cerchi il SOLE la TERRA e la LUNA rinchiusi nelle sfere dei sette cieli l’ultimo cerchi rappresenta gli eventi atmosferici e in alto le stelle.

Il Ciclo di affreschi del XII secolo ( 1150 ) sono di autore ignoto e nella parete sinistra rappresentano scene del Vecchio Testamento e in quella di destra scene del Nuovo Testamento. La particolarità sta nel fatto che vanno visti in senso circolare come seguendo le scene di un film, ma soprattutto la particolarità sta nel fatto che l’autore anticipando la pittura di Giotto e Cimabue (e il Cavallini) ha dato dinamicità ai personaggi inserendo scene di movimento, cosa sconosciuta nella pittura del periodo. Gli affreschi dell’abside sono del Maestro di Eggi (1445 ) . All’esterno della porta che dalla chiesa porta al chiostro sui montanti laterali ci sono scolpiti san Pietro con le chiavi e San Paolo con la spada.

Architettura Esterna

La chiesa orientata in modo classico da Ovest ad Est si presenta con facciata a capanna, oculo e portale rinascimentali, rivolta verso l’antico accesso da Spoleto. Il possente campanile a quattro ordini è databile alla fine del secolo XI. Il Chiostro è databile al XII sec. delimitato da un quadriportico a due ordini di colonne con al centro un’ara pagana. Questo ambiente ad oggi fa parte di una struttura recettiva realizzata nei locali del monastero e non è sempre visitabile.

Pratiche Terapeutiche

La singolare posizione dell’altare detto dei Santi Lazzaro e Giovanni, posto davanti all’abside del braccio sinistro del transetto, forma una sorta di angusto ambulacro che si deve percorrere accucciati e che ricorda vagamente i deambulatori delle cripte semianulari di alcune basiliche paleocristiane dove venivano venerate le reliquie dei martiri. Sul lato destro dell’altare è stata praticata una piccola apertura, protetta da una grata di ferro, la fenestrella confessionis, attraverso la quale erano visibili le reliquie dei santi monaci. Questa particolare soluzione ha favorito la pratica di un percorso devozionale per la protezione della salute del corpo.

Leggenda sulla fondazione dell’Abbazia

La leggenda narra che due eremiti siriaci Giovanni e Lazzaro diretti verso lo spoletino in cerca di un luogo recondito e mistico, arrivassero in Valnerina e li costruissero un eremo divenuto luogo di culto tra le genti locali. Dopo la morte di Giovanni, Lazzaro afflitto, pregò il Signore di consolarlo e questi fece apparire in sogno a Faroaldo II duca di Spoleto San Pietro, che lo invitò a costruire una chiesa ed un monastero in suo onore. Più tardi Faroaldo recatosi a caccia in Valnerina individuò nel piccolo oratorio il posto adatto alla costruzione della chiesa dedicata a San Pietro (VIII sec.) e l’adiacente monastero che adottò la regola di San Benedetto.

Santi benedettini Affresco

L’abbazia si rivela un vero e proprio palinsesto storico dall’età romana ai giorni nostri. Ad un nucleo pagano si sostituì, tra il IV e il VI secolo, uno stanziamento eremitico; in epoca longobarda fu costruito, nei pressi della tomba degli anacoreti Lazzaro e Giovanni, un primitivo cenobio per volere del duca di Spoleto Faroaldo II. La chiesa subì poi radicali restauri sullo scorcio del X secolo, negli anni di Ottone III ed Enrico II. Alla fine del XII secolo la chiesa fu decorata da un vasto ciclo di affreschi tuttora largamente conservati nella navata, mentre nell’abside sono stati sostituiti alla metà del XV secolo da una nuova decorazione, forse eseguita secondo lo schema iconografico originario. Il muro absidale è interamente ricoperto da un grande affresco, raffigurante nel catino Cristo benedicente attorniato da angeli. Nel registro inferiore, oggi in mediocre stato di conservazione, è rappresentata una teoria di santi. Da sinistra: Marziale, Eleuterio e Lazzaro; al centro Benedetto con ai lati Placido e Mauro (?); di seguito altri tre santi di cui solo il primo, Giovanni, è identificabile grazie all’iscrizione sottostante. L’anonimo frescante dell’ abisde è stato identificato con un artista dal nome convenzionale di Maestro di Eggi, pittore assai attivo in tutto il territorio spoletino e folignate, per le affinità che l’opera presenta con gli affreschi della chiesa di San Michele Arcangelo a Eggi (Spoleto). Il richiamo ad esperienze figurative dei primi decenni del Quattrocento ha inoltre indotto ad una datazione prossima al 1445. Va a questo proposito ricordato che lo stesso artista realizzò nel, 1442 un vasto ciclo di affreschi nella chiesa di San Giuliano di Spoleto in cui sono presenti molti dei santi qui raffigurati.

Fonte: http://www.iluoghidelsilenzio.it/abbazia-di-san-pietro-in-valle-ferentillo/