Abbazia di San Felice e Mauro - Castel San Felice
La leggenda dei santi Felice e Mauro sarebbe nata in seguito alla bonifica della zona avvenuta nel 428 per opera dei Consoli Romani Tauro (di cui Mauro sarebbe una corruzione) e Felice. La leggenda narra che, nel V secolo, trecento eremiti siriani vennero in Italia a causa di dissidi interni sorti tra loro; alcuni di questi si fermarono in Valnerina ed erano: il giovinetto Felice, il padre Mauro e la nutrice, in quanto la madre Eufrasina era voluta rimanere in Siria. Qui edificarono un eremo in prossimità del fiume Nera e la gente del posto li pregò di liberarli da un pestifero dragone, che con il suo alito ammorbava l’aria e non li faceva più vivere nella valle. Felice, presa una lancia, andò presso la grotta dove viveva il drago, lo uccise e ne gettò il corpo nel fiume purificandolo, poi piantò la lancia in terra che subito germogliò a segno della bonifica per gli abitanti della zona. Egli in seguito operò anche altri miracoli, come la resurrezione di un figlio unico di una madre vedova, il quale, insieme con l’altro dell’uccisione del drago, e’ raffigurato in un bassorilievo della facciata della chiesa.
La sua morte avvenne il 16 Giugno del 535, insieme con quella della sua nutrice. Mauro, rimasto solo, depose i loro corpi nell’oratorio, che venne in seguito dedicato a S. Felice. Più tardi, altri eremiti andarono a vivere con Mauro nell’eremo, che divenne così un monastero benedettino, dove egli stesso morì nel 555 ed il suo corpo fu sepolto nello stesso luogo di quello del figlio. Attualmente i loro resti sono conservati all’interno di un sarcofago in pietra, protetto da una grata di ferro, nella cripta della chiesa.
L’abbazia come insediamento benedettino ebbe breve durata perché, già nel secolo XIII secondo dei “documenti del 1254 e del 1257, la chiesa era retta da un priore che era anche canonico del Duomo di Spoleto e quindi non era certo un monaco. Ebbe così inizio la parrocchia di Castel San Felice, le cui chiese, nel sec. XIV, vennero ricomprese nel plebato di S. Maria di Narco. Nel XVI sec, la chiesa, il complesso monastico e le sue possidenze furono affidate in patronato alla nobile famiglia Lauri di Spoleto, che lo esercitò fino al sec. XVIII, quando si estinse il ramo maschile della famiglia. Passata al clero secolare vennero insediati dei priori, i quali avevano la supremazia sugli altri parroci della zona.
Va ricordato che nel 1530, si eseguirono radicali interventi di restauro ad opera del nobile spoletino Giacomo Lauri e durante il periodo barocco l’interno fu ricoperto da stucchi, che vennero rimossi nel 1922 ripristinando così l’originale stile romanico dell’abbazia. L’ultimo restauro è stato effettuato in occasione del Giubileo del 2000 ed ha interessato il convento annesso. L’antica abbazia è stata trasformata ed adattata in residenza privata, prima della famiglia Lauri ed in seguito dei vari priori, che si sono succeduti fino ai nostri giorni; attualmente è utilizzata come struttura ricettiva con annesso ristorante.
Aspetto Esterno
La struttura del monastero si articola in quattro corpi di fabbrica disposti a corti con la chiesa, dalla parte dell’abside, adiacente al dormitorio e alla sala capitolare mentre presso la facciata è unita la foresteria e il magazzino, chiude il tutto il refettorio.
La chiesa ebbe un primo radicale restauro agli inizi degli anni ‘20, seguito successivamente da altri, anche in epoca recente, che le hanno ridonato il suo originale aspetto romanico, ed attualmente essa si presenta con una splendida facciata di conci in pietra locale di calcare bianco, uno degli esempi migliori dell’architettura romanica spoletina di “Seconda Fase“.
E’ divisa in tre ordini:
- Nella parte inferiore si apre il portale a duplice rincasso e lunettato con arco a tutto sesto lunettato. Ha tuttavia perso la sua decorazione originaria
- Nella parte mediana è presente un bel rosone (tra i più interessanti esempi di scultura romanica umbra) a due ordini di colonne, iscritto in un quadrato con agli angoli i simboli apocalittici. Il quadrato è delimitato da una fascia a mosaico a stelle. Sotto il rosone è una fascia di sculture riproducenti la leggenda dei Santi Felice e Mauro. Due eleganti bifore con colonna tortile, sono disposte in maniera simmetrica ai lati del rosone
- Nella parte superiore risulta delimitata da due paraste con capitelli corinzi che sorreggono un timpano demarcato da una fascia di raffinatissimi archetti pensili, con al centro l’Agnus Dei
Interno
L’interno è ad una sola navata con pavimento in pietra nel quale si aprono alcune tombe e due epigrafi romane: una delle quali è inserita nel pavimento, subito dopo la porta di ingresso. Il presbiterio rialzato di 7 gradini, era riservato alla liturgia monastica e delimitato da paliotti in pietra a decorazione cosmatesca con mosaici a labirinto, dove il monaco leggeva al popolo la Bibbia. L’abside è circolare e la coperture a capriate.
Le pareti, un tempo ricoperte di stucchi e con altari barocchi dedicati alla Madonna del Rosario, a S. Francesco, ai SS. Mauro e Felice e alla Madonna del Carmine, conservano ancora oggi alcuni affreschi del sec. XV, tra cui un’Adorazione dei Magi di un pittore tardogotico della prima metà del sec. XV, S. Michele Arcangelo con in una mano la bilancia della giustizia divina e nell’altra la lancia per trafiggere il drago demoniaco, S. Felice nell’atto di uccidere il drago con l’iscrizione ormai quasi illeggibile “Hoc opus fecit fieri prior de denarris cuiusdam mulieris de Rocchecta, 1467” e un Cristo benedicente con angeli, nella calotta absidale opera del Maestro di Eggi databile tra il 1440 e il 1450. Inoltre una Madonna con Bambino e i santi Apollonia e Sebastiano di stile tardogotico.
La Cripta
La cripta, o ipogeo dei sepolcri dei Santi eremiti alla quale si scende da due lati per due rampe laterali di gradini, è a due navatelle con volte a crociera sorrette da unica colonna centrale di recupero romana e altari nelle due absidiole e quattro piccole feritoie. Al centro è il sarcofago in pietra rosata contenente i resti di Felice, Mauro e la nutrice siriaca.
Curiosità
Nei pressi della chiesa sgorga una sorgente d’acqua ritenuta miracolosa, la quale, seguendo un a pia tradizione, un tempo veniva attinta al centro del presbiterio, sopra una piccola cavità (ormai andata perduta) protetta da una grata di ferro e usata dalle donne del posto per lavare il capo dei loro bambini e quindi guarirli dalla scabbia.
Sulla facciata l’Agnus Dei è il simbolo dell’ordine benedettino. Secondo una antica tradizione orale, lo sguardo dell’Agnus Dei del timpano e’ rivolto in un luogo dove e’ sepolto un tesoro.
Fonte: http://www.iluoghidelsilenzio.it/abbazia-di-san-felice-e-mauro-castel-san-felice/