Abbazia di Sant’Eutizio - Preci

Alla fine dell’Impero Romano, in Valnerina approdano alcuni monaci siriaci, fuggiti dalle persecuzioni e dalle lotte connesse ai grandi concili d’oriente, che trasposero in quei luoghi l’esperienza monastica dei padri del Deserto inaugurata da San Paolo e S.Antonio Abate.

Queste persone svilupparono uno stile di vita di tipo anacoretico, ma anche forme cenobitiche anticipando la Regola di S. Benedetto che sarebbe arrivata più tardi Il primo di questi monaci si chiamava Spes e i suoi primi discepoli furono Eutizio e Fiorenzo. Dopo la morte di Spes che attorno al suo esempio nella Val Castoriana aveva richiamato numerosi altri monaci, Eutizio divenne l’abate del cenobio che si era costituito e che era diventato punto di riferimento spirituale per tutti gli abitanti della valle.

Alla morte di Spes, un suo discepolo, Eutizio, che conduceva la sua vita di ascesi insieme al compagno Fiorenzo in un eremo poco distante nell’alta valle della Guaita, per le sue grandi virtù divenne la guida spirituale del cenobio. La comunità ebbe un notevole impulso ed in questo periodo venne eretto il primitivo monastero e la chiesa nella quale alla sua morte vennero deposte le spoglie di S. Eutizio. Quando arrivò dal suo eremo (poco distante dall’attuale Abbazia Eutizio) ricavò la sua cella tra alcune grotte esistenti nel masso di travertino che sorregge, ancora oggi, la torre campanaria, e che sono ancora visibili. Costruì poi la chiesa, che subirà successivi ampliamenti e rifacimenti ed in essa raccolse le spoglie del compagno Spes. Il monastero fu fondato nell’anno anno 536, quando Eutizio ne divenne abate.

Da quella data in poi le notizie sono molto frammentarie, ma è probabile che già verso l’anno 1000 costituisse il maggior centro politico ed economico della zona. Nel contesto infatti di grande degrado economico e culturale i monaci benedettini ebbero un ruolo decisivo: essi assunsero direttamente il ministero della cura delle anime e di salvezza economica delle popolazioni rurali, sviluppano la loro funzione sociale legata alla regola dell’ora et labora, danno vita ad una vera e propria opera di colonizzazione del territorio sul piano spirituale, culturale ed economico. Attorno all’Abbazia ruotava la vita delle comunità circostanti Acquaro, Valle, Collescille ( paesi fondati dagli stessi monaci ) che insieme al monastero costituirono un organismo civile e religioso, la Guaita di S. Eutizio.

Col termine «guaita», dal logobardo “waita”, si indicavano le «ville» sorte attorno ad un oratorio monastico, con la funzione della produzione agricola, allevamento e sfruttamento del bosco, ma anche della difesa: infatti il termine significa anche guardia. Gli abitanti vi erano organizzati in communitates, tutt’oggi vitali nel nostro Appennino, col nome moderno di Comunanze.

Ugualmente i monaci promossero un considerevole numero di eremi e cenobi che in seguito si trasformeranno in oratori, pievi, cappelle. Lo stile di vita di questi monaci presentava molte affinità con la Regola di S. Benedetto ed in seguito la adottarono definitivamente. Anzi si può dire senza ombra di dubbio che furono proprio loro ad ispirare lo stile di vita che poi sfociò nella Regola di San Benedetto: l’infanzia e l’adoloscenza del santo, nato nel 480, fu marcata dall’esperienza di quei monaci che vivevano nell’area del suo territorio; S. Spes, aveva l’asceterio nella valle di Monte Cardosa, Sant’Eutizio praticava l’eremitaggio nelle grotte scavate nella spugna calcarea che si possono visitare nel complesso abbaziale e S. Fiorenzo, e aveva l’eremo presso villa Collescille e tutti erano famosi in tutta la valle di Norcia.

Eutizio morì nel maggio del 540 e la sua fama di santità aveva già richiamato numerosi discepoli, avviando il monastero ad un lungo futuro di prosperità materiale e spirituale. Grazie alle numerose donazioni dei duchi di Spoleto, dopo la loro conversione al cristianesimo, ai privilegi concessi dagli imperatori cattolici, alle concessioni pontificie e vescovili il territorio di influenza dell’abbazia divenne molto vasta e la proprietà fondiaria da essi accumulata assunse un ruolo di forte promozione economica.

Il paesaggio della rurale ne venne modificato: gli insediamenti monastici prediligevano le sponde dei fiumi di fondovalle, le zone insalubri da bonificare, gli ambiti isolati e difficilmente accessibili; questa dislocazione rifletteva un indirizzo strategico: è nelle zone rurali impervie che si poteva affermare la separatezza, ereditata dal movimento eremitico, ed il primato della vita contemplativa; ma al tempo stesso l’insediamento nella campagna permetteva di esercitare il controllo e la gestione di vasti territori, la cui estensione offriva la misura del potere temporale dei monasteri.

Il monastero era al tempo stesso una grande azienda dell’antichità e svolse un ruolo fondamentale nell’organizzazione economica ed amministrativa, promuoveva la colonizzazione di territori anche vasti ed esercitava anche una pressione politica e militare. L’appoggio che il movimento monastico ebbe dai re e dai duchi longobardi, dopo la loro conversione al cattolicesimo nel corso dell’VII sec., costituì un potente strumento di forza e di espansione in tutto il comprensorio.

La decadenza dell’abbazia ebbe inizio con la fine del XII secolo e tra il 1257 e il 1259 le ultime terre furono donate al Comune di Norcia. Nel XIV secolo l’abbazia perse la sua autonomia a vantaggio del Rettore del Ducato Spoletino e dopo varie vicissitudini secolari l’abbazia passò nel XV secolo agli abati commendatari di cui gli ultimi furono i vescovi di Norcia. Nel 1451, il monastero fu dato in commenda a Niccolò V, anche se vi rimasero i Benedettini fino al 1568. Una ripresa si ebbe al tempo della gestione dell’abate commendatario Giacomo Crescienzi (1586-1638) che nel 1599 realizzò una serie di interventi strutturali rammentati dalla memoria lapidea incastonata in uno dei muri del piazzale oltre che dagli stemmi e dalle decorazioni di alcuni architravi.

Lo stesso abbate Crescenzi, con l’approvazione di papa Clemente VIII, fece trasferire a Roma presso la Biblioteca Vallicelliana i preziosi codici conservati nella biblioteca monastica. Altri codici sono oggi custoditi dalla Pinacoteca di Spoleto, altri ancora alla Cancelleria Vescovile di Spoleto. I codici rivelano l’esistenza in loco di uno “scriptorium” di alto livello e di una scuola di miniaturisti particolarmente attiva fra i secoli X e XII. Tra i suoi documenti è emerso un importante testo in volgare italiano, databile al 1095 che risulta di molto antecedente alle Laudi dei Disciplinati e al Cantico delle Creature di San Francesco.

Gli scriptoria erano laboratori comuni e rappresentavano una forma di produzione organizzata. Il lavoro dei copisti e degli alluminatori era suddiviso secondo i vari compiti; si distinguevano oltre ai pittori (miniatorres) i maestri esperti di calligrafia (antiquarii) e i loro aiutanti (scriptores) e i pittori di iniziali (rubricatores): Gli scriptoria impiegavano amanuesi salariati, ossia laici che lavoravano un po’ a casa propria, un po’ nel monastero. Per capire l’eccezionalità del lavoro del monastero basti pensare che in quel periodo il mondo occidentale perdeva progressivamente non solo la concezione della parola scritta ma soprattutto la capacità di organizzare il tempo ed il lavoro. La stessa conservazione dei testi latini e greci si deve alla capacità dei monaci eutiziani di saper organizzare la divisione del lavoro, come principio fondamentale della produzione dei beni. La biblioteca rimase intatta in loco fino al 1605.

L’opera dei monaci benedettini non era rivolto solamente all’interno del monastero: alla bonifica della spiritualità, essi unirono la bonifica del mondo che li circondava, diffondendo la loro regola di vita e la razionalità della divisione del lavoro. I monaci svolsero un vero e proprio ruolo di riorganizzazione delle campagne con la creazione di una rete di collegamenti, la bonifica di aree degradate, la creazione di centri di aggregazione di vita delle popolazioni rurali. Tutto questo però con il tempo andò a scontrarsi con il potere dello Stato e intorno al Settecento, l’abbazia fu abbandonata. Va ricordato inoltre che i monaci di S. Eutizio furono anche i promotori di un’importante scuola chirurgica che ebbe come centro di sviluppo Preci e fiorì dal XIII fino al XVIII secolo.

Aspetto esterno

 

Oggi la chiesa, cuore dell’abbazia, mostra ancora la superba facciata con un portale a doppia ghiera e un’epigrafe del 1190 riportata sulla lunetta del portale medesimo. Questa ricorda il maestro che diresse i lavori: HUMILIS ABBAS THEODINUS/FUTT IN HOC OPERE PRIMUS/HII QUI DEGUNT AD THEOS/IUGITER ORENT PRO EO/ANNO DOMINI MILLENO CENTEXIMO NONAGE (SIMO)/MAGISTER PETRUS FECIT HOC JOHANNES PRIOR. La stessa, di struttura romanica, ha uno splendido rosone, come ricorre nel tipico schema delle chiese romaniche umbre e come si è ricordato ad opera del marmoraro romano Magister Petrus.

 

Tutto il complesso è stato realizzato in tre tempi, tra l’anno l000 e il 1300. Il complesso dell’abbazia si affaccia su due cortili: il primo, più ampio, nel quale domina la chiesa è meravigliosamente ingentilito da due splendide bifore trecentesche. Nel secondo cortile, ad ornamento di una fontana, è stata posta una transenna in pietra, scolpita a losanghe, riferibile all’VIII secolo e appartenente alla antica chiesa dedicata alla Vergine.

Molto suggestive sono le grotte dove si ritirarono S. Eutizio e S. Fiorenzo, scavate nello sperone roccioso che sovrasta, a picco, l’abbazia e, sulla cui sommità, venne poi eretto il campanile del XVII secolo, opera dell’architetto pontificio Crescenzi. L’Abbazia di S. Eutizio, come tutti gli altri complessi monastici benedettini, era dotata dell’oratorio, dell’alloggio per i poveri e per i pellegrini, della farmacia, di una scuola di paleografia e di miniatura, dello scriptorium e della biblioteca, ricca di codici miniati.

Interno

L’interno, a navata unica e con affreschi del XIV e XVII secolo, ha il presbiterio rialzato e un’ampia cripta a due navate divise da due massicce colonne in pietra locale, appartenute probabilmente all’antico oratorio. L’abside, di forma poligonale, risale al XIV secolo. Al centro del presbiterio domina il sepolcro di sant’Eutizio, un tempietto di pregevolissima fattura, attribuito a Rocco da Vicenza fatto costruire dall’abate Polidoro Scaramellotti nel 1514. I restauri del 1956, effettuati secondo criteri di ripristino medievalista, hanno purtroppo cancellato ogni traccia dell’intervento promosso nel XVII secolo dall’abate Crescenzi: solo il coro intagliato in legno di noce opera di Antonio Seneca della vicina Piedivalle è arrivato fino ai giorni nostri.

L’Abbazia Oggi

Nel 1956 la chiesa è stata riaperta al culto e, nel 1989, è diventata “casa di accoglienza” e di preghiera, riprendendo l’antico ruolo di centro spirituale e culturale. All’interno dell’abbazia è stato allestito un museo contenente quadri provenienti dalle vicine chiese, calici risalenti anche al XVIII secolo, patere, nonché i ferri chirurgici della Scuola di Chirurgia Preciana.

Nell’abbazia vive una piccola comunità che alterna alla preghiera la vita attiva. Svolge opera di apostolato, si dedica alla lavorazione della terra e all’accoglienza dei turisti. Nell’abbazia la giornata è scandita da ritmi ben precisi: la mattina, alle 7.00, si inizia con il sacro Ufficio delle Letture al quale, alle 8.30, segue la colazione. I monaci si dedicano quindi al lavoro, sia nell’orto che all’interno dell’abbazia, fino alla preghiera dell’ora Media, alle 12.00, che precede il pranzo. Nel pomeriggio, il momento di preghiera inizia con i Vespri e prosegue nella celebrazione della Santa Messa delle 19.00. Quindi si cena e, alle 22.00, nell’ora di Compieta, si ha l’ultima preghiera della giornata.

Ricorrenze particolari

Il 23 maggio si festeggia il Patrono S. Eutizio con una Messa solenne, celebrata dal Vescovo, e con una processione alla quale partecipano i fedeli, provenienti delle località limitrofe. La banda accompagna la processione, che partendo da Piedivalle, porta all’abbazia la statua lignea quattrocentesca del Santo.

Curiosità

Ad Eutizio si attribuiscono numerosi miracoli dopo la morte e di uno in particolare è rimasta limpida memoria nella tradizione. Nel 1385, a causa della carenza di acqua che metteva in pericolo i raccolti, tutta la popolazione pregò l’abate di esporre e di portare in processione il sacro cilicio, di colore nero, simile ad una veste monacale, indossato dal monaco durante la vita. Al termine della processione, iniziò una pioggia rivivificante.

Nel 1613, ricorda lo storico Jacobilli, poiché non pioveva da tre mesi, il cilicio venne nuovamente portato in processione e nuovamente si verificò il miracolo della pioggia. Secondo le tradizioni locali questo miracolo si è più volte ripetuto e tuttora, in tempo di grave siccità, si suole esporre il sacro cilicio in un tabernacolo, nell’altare maggiore, e illuminarlo con torce offerte dal Comune di Norcia che fin dal XV secolo ha stabilito che si onorasse in perpetuo la festività di S. Eutizio nella città e nel contado. Dopo l’esposizione, si porta il cilicio in processione cantando una Messa solenne.

Un altro momento di devozione popolare al Santo è rappresentato dal passaggio nel cunicolo che attraversa il basamento del sepolcro di S. Eutizio. Monsignor Fausti, in occasione della sua visita all’abbazia nel 1910, ricorda come molti fossero i devoti che, recandosi in pellegrinaggio all’abbazia per venerare le spoglie del Santo, “penetrano nel basamento, attraversando il foro dalla parte sinistra del tabernacolo, vi si trattengono per brevi istanti, fino a che recitata una qualche preghiera e col capo e col dorso tocchino la pietra che sostiene l’urna preziosa, e vanno ad uscire dalla parte opposta”. Questa pratica è tuttora in nonio particolare per i bambini il giorno dell’Epifania, e per gli adulti in occasione della festa di S.Eutizio, il 23 maggio, perché il Santo possa proteggerli dalle malattie o eventualmente guarirli. Un’altra pratica terapeutica, sempre riferita dal Fausti, consiste nel far passare intorno al capo dei fedeli un semicerchio di ferro per contrastare il mal di testa.

Scuola chirurgica di Preci

Come ricordato sopra, presso l’Abbazia di S. Eutizio è possibile ammirare una raccolta dei ferri appartenuti alla Scuola Chirurgica Preciana. Si presume che l’arte chirurgica preciana nacque come diretta emanazione delle conoscenze e delle arti curative introdotte nella Valle Castoriana, intorno al V secolo, dai monaci siriaci e gelosamente custodite e tramandate dai Benedettini del luogo attraverso gli antichi codici di medicina conservati nella ricca biblioteca dell’abbazia, purtroppo oggi dispersa (parte dei preziosi codici si trovano attualmente alla Biblioteca Vallicelliana di Roma).

Attorno al X secolo nell’Abbazia di Sant’Eutizio, come in tutti i maggiori centri benedettini, esisteva una ricchissima biblioteca dove tra i numerosi testi religiosi e scientifici erano presenti trattati di medicina, del resto la stessa regola benedettina prevedeva che i monaci si prodigassero nella cura degli infermi; nel capitolo 36 della Regola, infatti, si cita espressamente: “infirmorum cura omnia adhibenda est”. In tutti i monasteri esistevano dei particolari ripostigli (armarium pigmentariorum) dove venivano conservate piante medicinali. Certamente in questa abbazia la pratica della medicina doveva essere discretamente sviluppata, favorita dal fatto che nella zona era presente, come lo è tutt’ora, una grande varietà di piante officinali ed alcune sorgenti di acque curative di eccezionale efficacia. A confermare la tesi va detto che da un documento dell’epoca nel 1089 risulta che nell’Abbazia vi morì un monaco “medicus”.

Presso il complesso monastico quindi si affinarono tecniche che potremmo definire di microchirurgia ante litteram per la cura, in particolare, della calcolosi vescicale e della cataratta, oltre che delle fratture. Dopo il Concilio Lateranense del 1215, che vietò ai monaci di S. Eutizio l’esercizio di questa professione, pur potendo continuare la coltivazione e la raccolta di erbe medicinali, l’arte chirurgica fu da essi trasmessa e diffusa tra la popolazione locale, praticata da una trentina di famiglie che tramandavano di padre in figlio conoscenze e strumentazioni. Gli abitanti di Preci, già espertissimi come del resto lo sono ancora oggi, nella mattazione dei suini, appresero nell’abbazia l’arte chirurgica senza troppe difficoltà. Questi medici, chiamati “empirici”, perché non avevano frequentato università, nel volgere di alcuni decenni, perfezionando in modo sorprendente le tecniche operatorie, grazie anche all’ausilio di nuovi strumenti da loro stessi inventati e perfezionati.

Il periodo di maggior fortuna della scuola chirurgica preciana è tra il XV e il XVI secolo, quando i medici formati presso di essa erano contesi dai potenti del tempo. I “preciani” pur essendo in possesso di una buona cultura medica generale, erano specializzati quasi esclusivamente in tre particolari tipi di intervento: la rimozione delle cataratte, l’ernia inguinale e la litotomia, ovvero la rimozione dei calcoli vescicali, dove risultavano veramente insuperabili, tant’è che nel XVI secolo la percentuale di riuscita in questo intervento era per i medici preciani, sorprendentemente del 90%. I primi chirurghi diedero origine, nel solo territorio di Preci a circa trenta vere e proprie dinastie di medici. Il secolo XVI fu certamente il periodo d’oro per i chirurghi preciani, la loro presenza era ambita dagli ospedali delle più importanti città italiane, e richiestissimi da diverse corti Europee.

Fonte: http://www.iluoghidelsilenzio.it/abbazia-di-santeutizio-preci/